A ciascuno il suo e Il giorno della civetta: come muore un “cretino” (1967-68)
"Certe cose, certi fatti, è meglio lasciarli nell'oscurità in cui stanno...."
"- Era un cretino - disse don Luigi" (Sciascia, A ciascuno il suo)
Dopo Il giorno della civetta (1961), A ciascuno il suo (1966) é il secondo romanzo di Leonardo Sciascia sul potere mafioso in Sicilia. Il racconto dello sprovveduto e un po’ ottuso professor Laurana (Gian Maria Volonté) che indaga per scoprire quello che tutti sanno e tacciono, allude con chiarezza a una situazione politica sedimentata e ben nota tranne che a pochi studiosi che vivono isolati dalla realtà. La visione dello scrittore é pessimista, ironica e rassegnata. Al contrario il film di Petri (febbraio 1967; 99 min.), sceneggiato insieme a Ugo Pirro (è l'inizio di una collaborazione che produrrà i capolavori della trilogia politica: Indagine [1969], La classe operaia [1971], La proprietà [1973])
è un'invettiva amara e sovraccarica, giocata nel registro del grottesco e carica di un inutile sdegno. Il cineasta viene precisando il proprio stile basato su una lucida analisi di problematiche sociali osservate "da
lontano" attraverso una vigorosa deformazione di caratteri e situazioni. Al di là delle differenti ottiche, il film si limita a una fedele e semplificata messa in immagini del tagliente testo di Sciascia, al punto che
risulta chiaro che non vi è quasi alcun merito autonomo della pellicola, a parte forse il pregevole apporto interpretativo di Gian Maria Volonté e di Salvo Randone (il vecchio Roscio, padre della vittima) nonché della lirica e
dolente colonna sonora di Bacalov. In fondo la spina dorsale della pellicola, ovvero le situazioni e soprattutto i bellissimi dialoghi, sono tutti opera dello scrittore siciliano. Il linguaggio filmico si attiene a una
disadorna semplicità che confina a tratti con la trasandatezza mentre le poche varianti poste in atto, oltre che immotivate appaiono spesso superficiali se non incomprensibili (come è possibile che l'arciprete consegni l'intera
collezione intattta dell'Osservatore romano se esso è stato utilizzato dal nipote? nel racconto l'arciprete afferma - coerentemente con l'intreccio - di non conservare le copie del giornale). Il meccanismo del giallo è
invece ripreso da uno schema tipico del giallo inglese: lo spostamento dell'attenzione dal vero obiettivo
di un'azione delittuosa attraverso un secondo omicidio (o addirittura una sequela di assassinii) di copertura ricorre ad esempio in The A. B. C. Murders (1935; trad. it. La serie infernale) di Agatha Christie. Ma
mentre Poirot è l'unico a risolvere l'enigma di una serie pretestuosa di delitti, funzionale a coprire la vera, unica vittima, nel piccolo paese siciliano (nel film Cefalù) tutti hanno capito fin dall'inizio che la morte del
farmacista è stata solo una messa in scena per sviare i sospetti da Roscio, il vero bersaglio. "Hanno fatto un capolavoro" commentano nel finale gli invitati alle nuove nozze (si tratta invece di semplici commenti al
fidanzamento nel testo) tra l'assassino (Gabriele Ferzetti) e la moglie della vittima (Irene Papas). Né va taciuta la particolare crudeltà del contesto insulare dove la moglie della vittima non esita a sacrificare il padre
della sua bambina per realizzare un antico sogno amoroso. Sul versante politico romanzo e film collimano: notabili locali, eminenti figure del clero, deputati DC e sicari appaiono intrecciati in un unico, monilitico apparato
di potere il quale ha conglobato di recente il PSI (siamo negli anni del centrosinistra di Moro) e sembra avanzare proposte di collaborazione perfino al PCI. Sciascia e Petri (dopo il Giuliano di Rosi) sono i più audaci autori della loro epoca nel denunciare apertamente questa collusione (più avanti diventerà uno scontato luogo comune di modesti serial TV), mostrando addirittura un deputato democristiano che si accompagna con un killer. D'altronde se questa è la dura realtà del Potere, d'altrocanto il modesto professorino rappresenta un'alternativa inefficace e penosa: appartato nei suoi studi, deve indagare lungamente per conoscere ciò che è a tutti noto, non prima di avere stupidamente confessato proprio all'assassino alcune sue importanti scoperte, per finire poi ucciso come "un cretino". In fondo Laurana è il simbolo di una debolezza inconcludente ed vana - soprattutto nel libro - mentre Petri, grazie soprattutto a Volonté, rende Laurana un personaggio ammirevole e quasi eroico.
C'è infine la suggestiva descrizione della Sicilia come paese pirandelliano (più di uno, nel romanzo, i riferimenti al grande scrittore di Agrigento) dove tutto è maschera e finzione, ogni gesto è utile apparenza rispetto a
una verità nota ma celata dietro lo scherzo, la beffa e la paura. Chi si ostina a volere disvelarla infrange l'ordine stabilito delle cose ed è destinato a morire. Nel linguaggio filmico di Petri la cosa più originale appare
una certa vena lirica e malinconica che si esplica fin dalle prime sequenze aeree sopra il paesaggio siciliano, bello e aspro. La caratterizzazione dei personaggi invece è piuttosto stereotipata con l'eccezione del tormentato
professore e del sofferente vecchio oculista cieco. Il regista riesce con una certa efficacia a restituire l'universo kafkiano del sospetto di Sciascia e a valorizzare i dialoghi pungenti, senza però aggiungervi niente di
nuovo. Petri appare solo un fedele servitore, intimorito dalla compiutezza intangibile del racconto dello scrittore. La parte finale è leggermente mutata in direzione spettacolare (la sequenza in riva al mare con la vedova
Roscio non esiste nel libro), con effetti discreti soprattutto nella valorizzazione del contrasto tra la bellezza del paesaggio e la crudeltà degli eventi, arricchito dall'intensa presenza del tema musicale di Bacalov. Il
regista lavora sulle fisionomie affidando le parti mafiose a caratteri dai lineamenti marcatamente arabeggianti, come a dipingere la loro parziale (e soprattutto auspicata) estraneità al contesto nazionale italiano. Il
professore scompare infine sotto una montagna senza che nessuno se ne preoccupi particolarmente. La comunità, eliminato lo scomodo intruso, riprende i propri rituali con il matrimonio degli assassini benedetto dall'arciprete.
Con Il giorno della civetta
(feb. 1968; 110 min..), film tratto dall’omonimo romanzo (1960) di Leonardo Sciascia e diretto da Damiano Damiani, il nascente filone di denuncia sulle malefatte della mafia siciliana perviene al primo grande successo commerciale.
In un paesino nelle vicinanze di Palermo (la pellicola viene girata a Partinico), il sicario Zicchinetta (Gaetano Cimarosa), affiliato al clan del padrino don Mariano (Lee J. Cobb), uccide Salvatore Colasberna, piccolo
imprenditore disobbediente e Nicolosi, testimone accidentale del delitto, sparisce nelle ore successive. Rosa Nicolosi (Claudia Cardinale) invano cerca il marito, chiede notizie a Don Mariano ed anche al capitano Bellodi (Frano
Nero) che nel frattempo indaga con determinazione sull’omicidio, avendo ben chiara (come peralto è nota a tutti i “silenziosi” abitanti della cittadina) la dinamica degli eventi. Lo scenario inventato da Damiani (assente nel
romanzo) diventa il vero protagonista dellla trasposizione filmica: sulla piazza principale si fronteggiano le case dei due protagonsiti - Bellodi e Don Mariano - i quali si fronteggiano, si scrutano e si spiano, mentre giocano
una lunga e complessa partita a scacchi. Sebbene Bellodi sembri avere in mano tutte le carte (il petere conferitogli dallo stato, la possibilità di arrestare e di perquisire, nonchè di pagare il confidente Parrinieddu), è in
realtà il mafioso a controllare la partita poichè egli è strettamente legato al potere politico della DC (entra ed esce dalla sede locale del partito, anch’essa situata nella piazza centrale), inossidabile partito di governo di
cui conosce e frequenta onorevoli e ministri. Se il primo round viene vinto da Bellodi (che riesce ad arrestare il capomafia tra lo stupore generale), qualche tempo dopo egli verrà rimosso e sostituito mentre tutti i mafiosi
torneranno in libertà. Damiani, come Sciascia, mette in scena una realtà sociale in cui nessuno osa mettere in dubbio il potere assoluto del padrino, onorato e temuto dall’intera cittadinanza. Il capitano, un uomo del nord
(arriva da Parma), viene considerato un estraneo dalla popolazione locale, un intruso di cui è necessario sopportare le “assurde”velleità, essendo consapevoli che qualunque suo gesto non riuscirà a scalire un sistema di potere
radicato da decenni nell’universo siciliano. La sconfitta di Bellodi, uomo solo, è totale: il suo confidente Parrinieddu (Serge Reggiani) viene ucciso, Rosa, che, dopo tante incertezze e paure, si affida a lui, non ritroverà il
cadavere del marito e dovrà andarsene dal paese dopo avere rifiutato le proposte accomodanti dei capimafia. Nel finale tutto è come all’inizio con l’unica adifferenza che, nel palazzo dei carabinieri, di fronte alla sontuosa
abitazione di Don Mariano, c’è un nuovo capitano dall’aria assai più mansueta. Il delitto non paga poichè è coperto dal potere politico nazionale della DC: è questa, in ultima analisi, la realtà rivelata, con un certo
coraggio (per l’epoca), dal film nel quale, tuttavia, gli autori non mancano mai di rispetto alla realtà mafiosa e fanno di don Mariano una figura carismatica (non differente da quella dei futuri padrini hollywoodiani di
Coppola), chiuso nella solitudine che gli conferisce il suo potere assoluto. Una certa simpatia la riscuote perfino il sicario Zicchinetta (uno straordinario Gaetano Cimarosa) mentre l’eroe tutto di un pezzo finsice con il
diventare una figura quasi patetica, non molto differente (certamente non altrettanto ingenua) rispetto a quella del professore di A ciascuno il suo. L’enorme successo commerciale de Il giorno della civetta sancisce
l’inizio di un fecondo filone narrativo incentrato sui crimini delle organizzazioni mafiose che, con alti e bassi, giunge fino ai giorni nostri. Lo stesso Damiani firmerà, poco dopo, due grandi successi che trattano il emdesimo
argomento ovvero La moglie più bella (1971) e Confessione di un commissario di polizia... (1972). Quando, negli anni ottanta, il cinema entrerà in crisi, gli autori sposteranno queste tematiche in televisione con lo sceneggiato La piovra (dieci serie tra il 1984 e il 2001, la prima delle quali diretta proprio da Damiani). La finalità ultima di questi prodotti risulta essere politica: prima ancora di costituire una condanna netta ed inequivocabile delle gesta mafiose, i cui protagonisti spesso si ammantano di un qualche loro carisma, fosse anche “diabolico”, questo cinema vuole essere un attacco politico al potere conservatore di quel centrodestra, allora rappresentato dalla DC, che aveva stretto un’alleanza di ferro con queste organizzazioni, alleanza che, in definitiva, servì ai moderati per impedire l’accesso al potere del Pci. Nei delicati equilibri elettorali degli anni settanta, senza il massiccio apporto dei voti delle regioni meridionali e della popolosa Sicilia in particolare - voto largamente controllato dalle mafie - il partito di Berlinguer avrebbe certamente vinto le elezioni del 1976, con esiti difficilmente immaginabili per la realtà italiana ed europea. Ne Il giorno della civetta l’accusa viene illustrata in modo diretto e, a suo modo, oltraggioso: la DC è il partito della mafia. La pellicola esce nelle sale nel febbraio 1968 con perfetto tempismo in relazione alle importanti elezioni politiche del maggio 1968 nelle quali tuttavia la Dc riuscì a mantenere i propri consensi (intorno al 39%), mentre il Pci li aumentò (26,90%) e soprattutto si trovò al fianco il nuovo Psiup (4,4%) costituito da quelle correnti socialiste che non volevano collaborare con l’area di governo e rimanevano fedeli all’allenza con la sinistra filosovietica. Questa ala socialcomunista con il cinema di denuncia intorno alle mafie sferrò in quegli anni un forte colpo alla “rispettabilità” dei propri antagonisti, nel tentativo di ottenere un consenso crescente che portasse il Pci e i suoi alleati, gradualmente, dentro l’area di governo (cosa che avverrà nell’arco di un decennio).
Va ricordato poi che Damiani taglia tutta la parte “romana” del romanzo nel quale, con maggiore libertà e coraggio, Sciascia illustra, discute, chiarisce ed indica, senza possibile ambiguità, il ferreo legame che stringe
potere politico democristinao e mafia in una fatale alleanza volta a bloccare ed isolare il principale nemico politico ossia il pericoloso partito comunista. Se ne parla molto nel romanzo, di questa realtà “minacciosa” e si
accusa più volte Bellodi di fare il “gioco dei comunisti”. Tutto ciò scompare nel film sia perchè quelle lunghe digressioni politico-verbali avrebbero minato la carica spettacolare (ovvero l’impatto popolare e in definitiva
politico) del racconto filmico, sia perchè la censura dell’epoca non avrebbe, probabilmente, permesso di andare oltre nell’indicare la contiguità di mafia e partiti di governo. L’ambientazione sulla piazza pincipale
conferisce al racconto la cadenza di un appassionante e teso duello western ed è certo che Damiani, nel creare questa insolita scenografia, ha tenuto presente quella del celebre Per un pugno di dollari, impostata sulla
contrapposizione delle case dei Rojo e dei Baxter. D’altronde non va dimenticato che, nell’immaginario di quegli anni, Franco Nero era innanzitutto Django (S. Corbucci, 1966) e che il film precedente di Damiani era il valido Quien Sabe? (1966;
vedi), ambientato nel Messico rivoluzionario del 1917; pertanto è ovvio che nel film si respiri un’atmosfera “western” con il capitano Bellodi “sceriffo” solitario in un paese di frontiera, controllato da potenti bande di
criminali. La civetta del titolo deriva dal passo del dramma shakespeariano Enrico VI “… come la civetta quando di giorno compare” (Parte III, atto V, scena IV) e allude al fatto che i siciliani si rifiutano di combattere la mafia e preferiscono convivere con essa come quei soldati timorosi del dramma inglese che rifiutano di scendere in battaglia, preferendo stersene chiusi nelle proprie case e che, se per caso compaiono alla luce del giorno, risultano essere figure ridicole come l’eventale comparsa diurna della civetta; l’unico uomo vero del testo di Sciascia (comparato ai mezzi uomini agli ominicchi e ai quaquaraqua della celebre ripartizione di tipi umani presente nel romanzo), disposto a lottare contro poteri forti, organizzati e pressochè invincibili, è infatti destinato alla sconfitta. Ne deriva infine che se la mafia si identifica con la DC, i pochi uomini coraggiosi, onesti e capaci di fronteggiare quella piovra in questo “duello sotto il sole”, stanno sul lato opposto del fiume ovvero nel Pci. E’ questo il significato, non troppo recondito, che anima la pellicola.
testo scritto nel 2002(A ciascuno il suo)/2014(Il giorno della civetta)
|