Fear and Desire: pulsioni primarie in uno schizzo d'autore (1953)
"Un'altra conseguenza di questa guerra di tutti contro tutti è che nulla può essere ingiusto.... Forza e frode sono, in guerra, le due virtù cardinali" (T. Hobbes, Leviatano)
"La guerra non è che un duello su vasta scala" (K von Clausewitz, Della guerra)
"I soldati che vedete parlano la nostra lingua e vivono il nostro tempo, ma non hanno altra patria che la mente" (voce fuori campo, introduzione)
Nettamente distinto in tre episodi di uguale durata (circa 20 min. ciascuno), Fear and Desire propone, con tutti i limiti propri di un'inesperta opera giovanile, la poetica completa di K. Se il futuro
grande autore non esordisce con una pellicola eccezionale (peraltro anche il successivo Killer's Kiss non è un lavoro memorabile), ciononostante i temi appaiono già estremamente ben delineati, al punto che essi non subiranno
più
sostanziali mutamenti di prospettiva, limitandosi K a un loro ossessivo approfondimento e ampliamento, mediante anche una loro continua ricollocazione in differenti coordinate spazio-temporali. Laddove Fellini, Antonioni, Pasolini o Visconti esordiscono con opere prime sorprendenti, che segnalano autori già fortemente caratterizzati, K, pur tentando anch'egli fin dall'inizio "l'opera d'arte" alta e personale seppur travestita da film bellico, approda pero' a un esito modesto, penalizzato soprattutto dai dialoghi verbosi e letterari.
Ciò che colpisce, col senno di poi, è la presenza delle tematiche fondamentali del suo futuro cinema. Il film dipinge l'uomo quale pura aggressività', quale spietata macchina da guerra: nella prima parte la spinta alla
sopraffazione agisce in relazione alla fame (l'assalto alla pattuglia nemica, l'appropriarsi del loro "stufato" dopo averli uccisi); nella seconda essa agisce in rapporto all'istinto sessuale (la cattura della
ragazza, la tentata violenza, la fuga e la morte della giovane); nella terza essa si manifesta sia come ossessione/competizione/ duello (nell'impresa contro il Generale, Mac sembra dare un senso alla propria "inutile"
esistenza), sia come istinto di autoconservazione (il furto dell'aereoplano e la salvezza). La concezione hobbesiana della vita come lotta senza quartiere, come guerra di tutti contro tutti esordisce ora nel cinema di K per
rimanervi, radicata e centrale, fino ad Eyes Wide Shut. Nella astratta foresta, luogo universale dell'esistere, attraversata da un fiume il cui scorrere allude all'indifferente passare delle ore e dei giorni, gli uomini
si affrontano decisi a combattere per soddisfare le proprie pulsioni primarie: la fame (tematica alla quale l'autore tornerà, soprattutto in 2001), il desiderio sessuale (tematica presente in tutti i film successivi e
sviluppata particolarmente nell'ultima opera), l'istinto aggressivo finalizzato alla propria autoconservazione ovvero il duello "utile alla vita" oltre che manifestazione ineludibile dell'umano spirito di competizione
(argomento anch'esso approfondito costantemente nei lavori successivi, da Lolita a 2001, da Barry Lyndon a Full Metal Jacket). L'atteggiamento bellicoso non e' indotto da condizioni esterne; al
contrario esso naturalmente abita nella mente dell'uomo. La crudeltà esplicita, illustrata freddamente e non sanzionata da valutazioni moralisiche, determina fin d'ora la cinica particolarità di questo poetica: la visione
hobbesiana permea il cinema di K e lo rende un oggetto "alieno" non solo nell'universo hollywoodiano, ma in generale, contrastando con il diffuso umanitarismo prevalente nell'arte filmica. Il fascino nero dell'opera
del cineasta ebreo-americano e' dovuto in larga parte a questa fondamentale differenza. Nel simbolico viaggio percorso dalla pattuglia si delineano personaggi differenti, alcuni meglio "attrezzati" alla vita, altri
piu' incerti: si delinea così l'altro importante tema del cinema kubrickiano ovvero il confronto tra i forti e i deboli, tra coloro cha sanno controllare le proprie passioni e coloro che ne sono vittime. In tal senso il primo
episodio, crudele e ultraviolento (lo sterminio della attuglia nemica), mina il carattere del piu' sensibile dei quattro, Sidney, la cui mente lentamente sprofonda nella follia nel secondo episodio. Di fronte alla bella
prigioniera il soldato impazzisce, recita frammenti della Tempesta di Shakespeare, fa la caricatura del Generale alle prese con un lauto pranzo (cosi' come lo ha recepito dai discorsi di Mac), tenta di violare la giovane in un gesto che, piu' che uno stupro, sembra realizzare il desiderio di un vinto di scomparire, di tornare nel grembo materno. La sequenza della follia di Sidney descrive un naufragio esistenziale attraverso un disordinato ricomparire di frammenti della propria esperienza che ora riemergono senza logica; è insomma la prova generale delle "esplosive" sequenze di morte che concludono i percorsi di Hal 9000 e di Pyle. In particolare la follia di Sidney anticipa quella che termina il percorso esistenziale della sfortunata recluta di Parris Island.
La prima presenza femminile stabilisce fin d'ora la marginalità e la "differenza" della donna nel cinema kubrickiano; non a caso la giovane non riesce ad avere nessun tipo di colloquio con i soldati che l'hanno
sequestrata e che la uccideranno. La donna appare al regista un mondo a parte, oggetto di un interesse soprattutto sessuale da parte dell'universo maschile (l'amore e' il grande assente nel cinema kubrickiano). La lotta per il
dominio dell'altro, lotta che si avvera attraverso le armi proprie di ciascun sesso (la "forza" contro la "frode", la violenza contro la simulazione seducente; la ragazza finge di stare al gioco di Sidney e
di acconsentire a soddisfarlo, per poter raggiungere il proprio obiettivo: la fuga; in The Killing e in Lolita troveremo comportamenti simili), appare l'unico modo di interrelazione anche tra uomo e donna (sotto
tale aspetto il cinema di K è assai vicino a quello di Fassbinder). Solo nel tredicesimo e ultimo film K tentera' un'analisi più sfaccettata dei rapporti tra i due sessi, mettendo in scena un'impegnativa galleria di
figure femminili. Nel momento culminante della sequenza tra Sidney e la ragazza la colonna sonora commenta con un disegno musicale basata su un drammatico continuum sonoro in cui compaiono sinistri glissati degli
archi e degli ottoni modellati sulla scrittura di Bela Bartok: il futuro ricorso alla Musica per strumenti a corde, celesta e percussioni (Shining) è qui anticipato. Fear è soprattutto uno schizzo preparatorio per Full Metal Jacket: da
un lato i deboli Sydney e Pyle soccombono e scompaiono dal film nella prima parte (ai due terzi in Fear; dopo solo un terzo della narrazione in Full); dall'altro il finale per entrambe le pellicole è costituito da
un assalto a un edificio, assalto durante il quale i protagonisti fanno un salto "evolutivo". In questo ultimo episodio, anche l'ultraviolento Mac si rivela un personaggio debole, prigioniero della propria ossessione;
come altri futuri personaggi kubrickiani (il generale Mireau [Paths], il generale Ripper [Dr. Strangelove], Alex) Mac non sa controllare la propria energia aggressiva, ne e' anzi dominato e soccombe in una sorta di suicidio
determinato dalla propria nullita' esistenziale di cui e' prova il lungo, sconnesso delirio verbale che prelude alla sua uscita di scena. Al contrario il tenente Corby e Fletcher compiranno in silenzio la loro missione di morte
e riusciranno a fuggire. Non solo. Corby si accorgerà che il Generale che ha ucciso, possiede il suo stesso volto: in quello sguardo stupefatto che accompagna la morte del suo sosia, Corby scopre l'universalità del Male e la
costrizione dell'esistenza intesa come biologica sottomissione a istinti di morte. E' una scoperta gia' adombrata nei dialoghi del Generale con il suo aiutante, laddove il primo, come distrutto da un’apatia mortale, afferma di
sentirsi come "in trappola" nel proprio ruolo di spacciatore di morte ("io preparo la tomba degli altri"). E' un personaggio provato, stanco, che invoca la morte che entro breve lo afferrera'; il suo destino
e' ancora una volta dettato dalla debolezza, dalla sua incapacita' di dominare la durezza della vita (si veda in tal senso il mirabile finale di Barry Lyndon, scontro anch'esso tra un personaggio logorato, Barry, ed uno
carico di aggressivita', lord Bullingdon). Invece le battute finali dei due sopravvissuti parlano di una metamorfosi decisiva e liberatoria, di un essersi spinti oltre, in un territorio prima inesplorato ed ora acquisito per
sempre (Fletcher : "sono contento in un certo senso. E mi sento di colpo così libero"), anticipando le folgoranti affermazioni conclusive di Joker ("Vivo in un mondo di merda ma sono vivo. E non ho più
paura"). La desolata nenia del folle shakesperiano Sydney, epilogo piuttosto accademico, verra' sostituita allora dallo spavaldo inno a Topolino, intonato sul fondale di un cielo rossastro. Lo sguardo stupefatto tra
Corby ed il suo sosia pone in atto un salto "evolutivo": in quello sguardo è già presente la nera scintilla del monolito.
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