Lolita

Lolita: al di là del bene e del male (1962)   
 

              "Con una risata cattiva [lo "spirito libero"] capovolge le cose che trova velate, risparmiate da un qualche pudore: vuol provare come esse   appaiano quando siano messe a testa in giù. Per capriccio, per puro capriccio, egli rivolge adesso il suo favore a quanto finora è stato in cattiva fama: s'aggira, curioso e tentatore, intorno alle cose più proibite."
              (Nietzsche, Umano troppo umano)

      
Per la prima volta Kubrick supera il limite: Lolita è un film perverso nel quale il grande autore gioca a scacchi con la censura e vince. Si avventurerà altre due volte in campi estremi, con A Clockwork Orange e Eyes Wide Shut, spingendosi in zone proibite ed oscure. Mentre lo scandalo del film sui drughi di Alex sarà eclatante, Lolita e Eyes sono film così imbarazzanti da annichilire la censura, inibire perfino i media, in evidente difficoltà nel commentare tali pellicole. In questi due casi la maggior parte dei critici finisce con il non commentare la sostanza del film, rifugiandosi in osservazioni formali e secondarie.
Lolita racconta un’ossessione erotica e lo fa con accenti ossessivi; il tono lieve serve a sviare la censura e il puritanesimo americano, ma ogni attimo del film è invaso dalla morbosa passione del professor Humbert; non si parla d’altro. Fin dalla sensuale immagine d’apertura (il piede di Lolita) il fascino della “ninfetta” attraversa incontrastato la pellicola: esso costituisce il centro d’irradiazione di un incanto che si rivelerà mortale per Humbert e Quilty, i due amanti-padroni, laddove l’ultima immagine della giovane la mostra sposata e portatrice di una nuova vita.
Il professor Humbert, stregato fin dalla prima visione di Lolita nel giardino della casa materna, decide di possederla ad ogni costo: sposa la ripugnante Charlotte pur di starle accanto e non appena quest’ultima, sconvolta dalla verità, muore in un incidente, si precipita dall’ignara Lolita (in vacanza in un campeggio) e, senza rivelarle la verità, la porta con sé in un albergo dove potrà finalmente farla sua. I toni lievi e ironici del racconto non possono far dimenticare cosa sta accadendo: Humbert sfoga la propria voglia lungamente repressa sulla ragazzina orfana. Come già notato non c’è amore nel cinema di Kubrick; al contrario ogni forma popolare di sentimentalismo è irrisa (si veda l’accoglienza beffarda riservata da Humbert alla dichiarazione d’amore per lettera di Charlotte come pure l'uso di un motivo zuccheroso, palesemente ricalcato sul Secondo concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov, per commentare le tre "sospirose" scene di commiato tra Humbert e Lolita). L’impulso sessuale invece, nelle sue più svariate forme, si rivela elemento ben altrimenti indagato dall’autore, impulso che genera sopraffazione e schiavitù, persecuzione e vittimismo e che diviene il modo prevalente di rapportarsi tra uomo e donna in questo universo, stabilendo così un suggestivo parallelo con il perenne “bellicoso” affrontarsi dei protagonisti maschili. In fondo Lolita, che all’inizio civetta e gioca con Humbert (e in seguito con Quilty, con il quale probabilmente aveva cominciato una relazione ancora prima di instaurare quella insincera e strumentale con il professore), si scopre presto una vittima dell’ossessivo desiderio maschile: entrambi i suoi amanti limitano fortemente la sua libertà, quando non pretendono da lei (è il caso di Quilty) morbose prestazioni collettive da immortalare in filmetti domestici.
Solo apparentemente dunque Kubrick ha cambiato soggetto e registro rispetto ai suoi film degli anni cinquanta; in realtà nell’indagare il rapporto maschio-femmina ritrova l’eterna, hobbesiana guerra di tutti contro tutti, guerra peraltro anticipata nel comportamento ambiguo e opportunistico della protagonista di Killer’s Kiss, nonché in quello infido della moglie del cassiere in The Killing. Così Humbert, catturata la sua preda, la opprime con le sue esigenze sessuali; l’intera seconda parte del film ruota intorno al desiderio di Humbert del quale tutti parlano e tutti sanno: non solo Lolita manifesta la propria crescente insofferenza parlando di “mente sudicia”, “lurido mondo” ecc., ma anche le sue amiche sanno, Quilty sa (e continuamente ricatta Humbert, ne alimenta il rimorso), i vicini di casa sanno (e porgono imbarazzate rimostranze); tutti sono consapevoli della relazione pedofila che lega la giovane al suo patrigno ma preferiscono tacere o limitarsi a delle allusioni come accadrà poi agli spettatori e ai critici. Infine Lolita riusce a scappare dalla dorata reclusione in cui l’ha ingabbiata il professore, ma solamente per cadere in quella più scandalosa di Quilty, nella quale perfino la mdp di Kubrick non osa penetrare se non nel delirante prologo/epilogo. L'autore, nel trattare queste pulsioni sessuali "minoritarie" seppur esistenti e a modo loro "naturali", si mostra freddo e obiettivo, evitando sia i toni compiaciuti (presenti massicciamente nel morboso testo di Nabokov), sia i toni moralistici; Kubrick, nietzschiano Freigeist, osservatore imperturbabile, come altrove (A Clockwork Orange) registra l'esistente come tale.
Lolita possiede una precisa geometria narrativa, marchio di fabbrica del suo geniale autore; una geometria però lievemente nascosta, poiché eclissata dal naturale imporsi dell’insolita tematica sessuale. Il film, infatti, racconta un duplice duello: quello tra una madre e una figlia e quello tra un professore di lettere e uno scrittore di commedie. Il duello femminile occupa la prima parte e si conclude con la completa disfatta di Charlotte; il secondo termina con l’accesso di follia di Humbert nell’ospedale. Il prologo, con il magistrale scontro tra i due protagonisti (anticipazione narrativa voluta da Kubrick), entrambi stanchi e consumati dalle loro ossessioni, espone subito la vera sostanza del film, lo scontro-duello tra uomini per il possesso dell' "adorabile ninfetta". E ormai sappiamo che il duello esprime un elemento essenziale della lucida visione kubrickiana del mondo: così  la filosofia politica hobbesiana si trasforma in abbagliante poesia.
Charlotte e Lolita sono entrambe affascinate dal tenebroso Quilty come dimostra la sequenza della festa iniziale, fatto sottolineato ancora da Kubrick in modo magistrale nella sequenza della lettera “amorosa” di Charlotte: Humbert la legge e ride, steso sul letto di Lolita; la mdp però si sposta in modo imprevedibile nel finale dell’episodio e svela un’immagine di Quilty appesa vicino al letto della ragazza: è ora Kubrick a ridere del presuntuoso e scialbo professore che non capisce di essere una "seconda scelta" per entrambe le donne. Charlotte non avrà il tempo di dirglielo, ma lo farà, nella dolorosa sequenza finale, Lolita con parole molto simili a quelle con cui Alice Harford rivelera' la sua passione "militare" al povero, ignaro marito (Eyes). D’altronde Humbert è uno studioso, un “critico”, rappresenta un atteggiamento passivo, “femminile”; al contrario Quilty è un creatore di drammi e di personaggi (si vedano le sue sardoniche “interpretazioni” ai danni di Humbert), è una figura attiva, “maschile” e quindi è naturale che le due donne guardino soprattutto a lui, per poi accontentarsi del più disponibile Humbert. Allo stesso modo l’atteggiamento materno e sereno di Lolita nei confronti del suo anonimo marito rivela che la giovane ha praticato ancora una tranquillizzante “seconda scelta” dopo la sua tormentata “giovanile odissea”.
Lo scontro Charlotte-Lolita, assente in Nabokov, è raccontato con eleganti ellissi: Charlotte si precipita a ballare con Quilty durante la festa, nonostante sia in corso il suo tentativo di seduzione di Humbert; nell'accenno a un dentista (Ivor, definito zio di Quilty) dal quale la giovane si sta facendo "curare" possiamo cogliere il primo accenno al già esistente legame tra Quilty e Lolita (Ivor e' probabilmente una delle sue molte "interpretazioni"); Charlotte bisbiglia a Quilty probabili ricordi di una loro avventura sessuale (e con un bisbiglio di Lolita a Humbert avrà in seguito inizio anche la loro: bisbigli volti soprattutto ad aggirare la censura); per vendetta contro l' "invasione" di campo della madre nei confronti di Quilty, Lolita irrompe in casa disturbando il tentativo di seduzione di Charlotte; il suo stesso civettare con Humbert è un semplice gioco posto in atto contro la madre. Il povero Humbert si crede erroneamente il centro di tante attenzioni, mentre egli viene solo usato nello scontro tra le due donne. Anche l'iniziale sequenza del drive in, la prima a mostrare le due donne con Humbert, può essere letta in questa direzione: sullo schermo appare l'orrenda creatura di Frankenstein di fronte a uno stupefatto Peter Cushing (dal film La maschera di Frankenstein, Fisher 1957) ove il mostro sintetizza le due donne, entrambe intenzionate a sedurre il povero Humbert. Charlotte si accorge subito, nel gioco delle mani, che Humbert preferisce la giovane figlia e abilmente inserisce questo fatto nella sua strategia, citando in modo ammiccante Lolita nel finale della sua lettera "amorosa", certa così di assicurarsi i favori del professore; dopo di che decide di “esiliare” la figlia in un collegio, gettando Humbert nella più nera disperazione. La morte casuale di Charlotte salva il malcapitato da un grigio avvenire e lo catapulta in un'esaltante odissea. D'altro canto anche Lolita mostra di sopportare a malapena il pedante Humbert: piu' volte abbandona a meta', spazientita, un suo "sermone", decide di rimanere con lui dopo la morte della madre definendolo comunque "meglio dell'orfanotrofio" e, ancora nel finale, allorché gli rivela la verità intorno a lei e Quilty, è infastidita dalla lentezza con la quale il professore si rende conto della verità.
Il secondo duello, quello tra Humbert e Quilty per il possesso di Lolita, costituisce l’anima profonda del film: niente di più gratuito e inesatto è invece insistere (come ha scritto la maggior parte della critica) sul carattere di doppio di Quilty rispetto a Humbert, laddove un abisso li divide; anzi l'intero film (in ciò assai differente dal testo di Nabokov) nasce proprio dal loro perenne conflitto. Quest'ultimo si sviluppa secondo un preciso disegno che mostra il più abile e spregiudicato Quilty rafforzarsi costantemente ai danni di un Humbert progressivamente più debole, nonché malato e semifolle nelle ultime sequenze della loro accanita lotta (solo e febbricitante nella stanza del motel; poi delirante nell’ospedale, privato della sua Lolita, sorretto dagli infermieri in magnifiche immagini che anticipano quelle di Torrance sconfitto nel labirinto di neve). Quilty si insinua nella vita familiare degli Haze, facendo leva sul senso di colpa di Humbert, nonché sul suo legittimo timore dell'intervento della polizia (in ogni suo travestimento minaccia esplicitamente l'ingenuo professore); infine quando capisce che Humbert è provato lo pedina sfrontatamente, contribuendo così ad accentuarne il panico fino al crollo fisico. Ancora nel prologo/epilogo (quattro anni dopo la sconfitta di Humbert) lo scontro finale mostra un catatonico Humbert (vestito con un cappotto listato a lutto) fanaticamente deciso a eliminare il suo rivale, laddove Quilty appare distaccato e fino all'ultimo vitale e camaleontico: è indubbia la sua superiorità, la sua maggior forza che consiste nel suo distacco passionale, nel suo aver "giocato" con Lolita, la quale è stata solo una delle sue molte vittime. Quilty ha consumato il suo desiderio e poi ha saputo dimenticare. Al contrario il rigido e debole Humbert è rimasto ossessivamente legato (per quattro anni) a quel ricordo. Questa resa dei conti finale svolge la medesima funzione chiarificatrice assolta in Paths dal dialogo conclusivo e rivelatore tra il generale Broulard e il colonnello Dax: in entrambi i casi si dispiega il confronto tra forza e debolezza, tra il perfetto controllo di se' del commediografo Quilty rispetto al carattere emotivo e appassionato del professor Humbert.
1776 (citato in Lolita), 4 luglio (la misteriosa fotografia finale di Shining): la fatidica data lega intimamente le due opere, entrambe le quali raccontano, in modi alquanto differenti, il progressivo, desolato scivolare verso una completa disfatta del loro protagonista, all'interno dello spietato e competitivo "nuovo mondo". Il dinamico Quilty (pubblicizza le sigarette Drome ovvero Aeroporto), come l'Overlook Hotel (e più avanti il sergente Hartman e la misteriosa festa in Eyes), alludono al sistema americano, alla sua potenza mondiale basata su una pragmatica concezione delle cose e su un uso spietato della violenza. Lo stravagante scrittore e i minacciosi fantasmi dell'Overlook Hotel vanno intesi come i rappresentanti di un sistema di potere tendenzialmente invincibile poiche' animato dal puro gusto della competizione e dalla amorale brama di dominio. Essi sembrano confermare l'affermazione di Prosper Mérimée secondo la quale "non c'è niente di più comune che fare il male per il piacere di farlo" (Parigi, 1874). Il professor Humbert, la cui origine europea è costantemente sottolineata nei dialoghi, come il debole Torrance, artista mancato, non potranno che essere contagiati da quell'universo della violenza per poi soccombere. D'altronde, attraverso altri percorsi narrativi, altrettanto criptici, Full Metal Jacket e Eyes racconteranno la medesima supremazia del sistema USA. L'omicidio di Quilty è quindi il disperato gesto di ribellione di Humbert; allo stesso modo il grigio Torrance ha invano cercato una strada di affermazione individuale mediante la scrittura: le vampiresche presenze dell'Overlook non gli consentiranno vie di fuga. All'interno del mondo competitivo e potente nato il 4 luglio 1776 entrambi sono dei losers. Attraverso vicende assai private si affaccia una suggestiva analisi del sistema politico “imperiale” americano ovvero il tema esplicito dell'opera seguente, Dr. Strangelove.
Un attento esame del magnifico prologo offre in tal senso molti spunti di riflessione. Quilty si muove in un contesto che allude alla potenza del "nuovo mondo": vive in una sorta di castello-fortezza il cui interno assomiglia a un magazzino di tesori ammassati nel disordine, probabili prede di guerra; si proclama Spartaco ovvero un capo militare ribelle (e nella ribellione al vecchio mondo nasce, nel 1776, la repubblica americana); continua a definire Humbert "capitano"; al pianoforte "improvvisa" l'incipit della polacca "Militare" di Chopin e se ne appropria come di una sua composizione (ennesimo "tesoro trafugato") così come aveva "rubato" Lolita a Humbert per semplice gioco competitivo, per il gusto di umiliare il professore-"vecchio mondo"; sfida Humbert in nuove "partite" (ping-pong, boxe); infine gli offre i biglietti per le esecuzioni capitali, altro spettacolo sanguinario segno di un universo spietato. Questo prologo illumina il duello di complessi significati che vanno ben oltre la tematica "pedofila", assolutamente centrale invece in Nabokov: certamente su quel terreno estremo si sfidano i duellanti, ma l'uno sa poi muoversi con spregiudicata libertà, padrone delle proprie perversioni, l'altro, schiavo della sua ossessione erotica, e' "appesantito" dal retaggio di antiche filosofie morali. In fondo Lolita  è l'odissea di Humbert in un universo ignoto, odissea che inizia con il suo aereo che sorvola la Downtown di Manhattan ed entra nel vivo allorché Charlotte comunica il suo emblematico numero telefonico: 1-7-7-6; "come la dichiarazione d'indipendenza" risponde candidamente il professore, pensando di essere spiritoso.
Attraverso il vitale commediografo Quilty e e il saccente studioso Humbert K racconta soprattutto lo scontro tra l’attiva potenza americana e la decadente passività europea, delineando uno scontro tuttora in atto, dietro le apparenze di una supposta amicizia e alleanza. La fedeltà di Kubrick al testo di origine è quindi assai vaga, né potrebbe essere altrimenti in uno dei più grandi artisti del Novecento. Egli sceglie le proprie "fonti" in stretta relazione alla sua tematica preferita, l'indagine del rapporto forte-debole, e vi apporta modifiche sostanziali in tale direzione. Inutile dunque addentrarsi in accademiche analisi, qui come altrove, sulle differenze tra romanzo e film, tra Nabokov e Kubrick. Nel delineare, opera dopo opera, un rigoroso mondo iconico e concettuale, il cineasta americano è fedele solo a se stesso.