Profondo rosso

Profondo rosso: una madre “scandalosa” (1975)

                  “Volevo una vecchia attrice italiana del       periodo dei telefoni bianchi, quelle che       ci avevano fatto sognare con i loro         visini angelici”
                  D. Argento (2003)

Dopo l’esito sfortunato del film storico Le cinque giornate (1973), Argento torna al giallo e approfondisce gli elementi onirici presenti nella trilogia degli animali con Profondo rosso (mar.1975; 130 min.), pellicola scritta insieme a Bernardino Zapponi. Il regista romano praticamente clona il suo film di maggior successo, L’uccello dalle piume di cristallo (si pensi soprattutto al mercato americano), mantenendo inoltre alcuni dettagli del Gatto e delle Mosche. Il risultato è comunque un film completamente nuovo a livello stilistico, sia per la decisa virata di tipo antirealistico, sia per l’ottima qualità figurativa, sia per il montaggio creativo, nervoso e frammentato, sia per il nuovo utilizzo della colonna sonora ovvero il progressive rock aggressivo e solenne dei Goblin.
A Torino, nella “metafisica” piazzetta Cln (vicina a piazza San Carlo), il musicista inglese Marc (David Hemmings, il fotografo di Blow Up, Antonioni 1967) assiste all’efferato omicidio di una medium (Macha Meril). Entrato nell’appartamento della vittima non si rende conto di vedere, riflesso in uno specchio, il volto dell’assassina (Clara Calamai). In seguito si accorge che qualcosa di importante gli sfugge, continua a rifletterci e intanto indaga per proprio conto mentre il commissario incaricato delle indagini non lo prende troppo sul serio. L’assassina, nel frattempo, lo minaccia, tenta di ucciderlo e fa strage intorno a lui. Lentamente l’improvvisato detective scopre che la criminale agisce sulla spinta di un trauma subito decine di anni prima, quando abitava in una villa alla periferia della città. Vi si reca, scopre un cadavere dentro una stanza murata (un po’ come nel racconto Il gatto nero di Edgar Allan Poe, testo che Argento porterà sullo schermo in Due occhi diabolici, 1990) e pensa di avere identificato l’assassino nel suo amico, il pianista Carlo (Gabriele Lavia). Nel primo finale quest’ultimo tenta di uccidere Marc ma viene, a sua volta, ucciso dalla polizia, sopraggiunta all’ultimo momento. Il racconto però non può terminare qui: Carlo era nella piazzetta Cln con l’amico mentre ammazzavano la medium; dunque l’assassino è un altro, quanto meno il responsabile di quel primo omicidio. Nel secondo finale Marc, di nuovo nella casa della prima vittima, comprende il particolare che gli era sfuggito, identifica nella madre di Carlo la colpevole, si scontra con lei e riesce a cavarsela per un soffio mentre la donna finisce decapitata.
Come si nota, questa è sostanzialmente la trama de L’uccello dalle piume di cristallo, opportunamente rivisitata. Dai rimanenti film degli animali Argento riprende la tematica omosessuale (Il gatto a nove code), la scena iniziale in un teatro, la componente musicale legata ai protagonisti, la presenza di un genitore psicopatico, la scena madre conclusiva con lo sfogo della schizofrenica colpevole e la sua decapitazione (Quattro mosche di velluto grigio).
Se Profondo rosso appare a prima vista un’abile riformulazione di cose note, d’altro lato lo stile è talmente diverso da calare il tutto in un’atmosfera onirica che cattura lo spettatore e non gli permette di accorgersi delle troppo somiglianze con film già visti.
Il titolo Deep Red deriva da Deep Purple, il celebre gruppo rock inglese cui sembra Argento avesse chiesto, invano, una colonna sonora per il suo film. I Deep Purple avevano esordito come complesso progressive prima di passare all’hard rock; i Goblin, gruppo italiano di Claudio Simonetti, guardavano con ammirazione a quella corrente musicale londinese e, in particolare, si rifacevano alla musica degli Yes dalla quale “prendono in prestito” anche un importante inciso sonoro (la solenne scala scendente organistica, da Everydays presente nell’album Time and a Word, 1970). Il progressive era in quegli anni il rock più amato in Italia e in Europa (non a caso, cinque anni dopo, Argento affiderà a Keith Emerson la colonna sonora di Inferno) e il regista intuisce la miscela rivoluzionaria che può nascere da immagini violente e semiastratte combinate con riff ossessivi e esonorità elettroniche il cui volume sonoro aggredisce lo spettatore, pur mantenendo una solenne e godibilissima eleganza melodica (per intenderci, quella morriconiana) e un’incisiva sostanza tematica (si ricordi però che il tema della ninnananna è di Giorgio Gaslini al quale, in una prima fase, il regista aveva commissionato il soundtrack).
Profondo rosso è il film della transizione argentiana, dal poliziesco semitradizionale (ma si erano già notati gli elementi onirici “in crescendo”, presenti nella trilogia degli animali) verso l’horror più astratto del dittico Suspiria - Inferno (1977-80). Nel nuovo film gli scenari, abilmente scelti, sono particolarmente irreali: la già citata piazzetta Cln - vera coprotagonista del fim, con le sue architetture squadrate e fasciste (fu creata durante la risistemazione di via Roma, nel 1937) e le sue gigantesche statue (di Umberto Baglioni, allegorie del Po e della Dora Baltea), dentro e intorno alle quali si muovono in perfetta, notturna solitudine Marc e Carlo - produce immagini permeate da reminiscenze della pittura metafisica del De Chirico delle cosiddette “piazze italiane”. A completare lo scenario c’è un gelido Blue Bar, ispirato a un celebre dipinto dell’iperrealista Hopper. Anche la casa della scrittrice è situata in una periferia astratta e lunare mentre l’intero episodio della villa liberty, deserta e diroccata, con graffiti orrendi e cadaveri in decomposizione, rimanda ai peggiori incubi gotici della letteratura di Poe e del cinema di Roger Corman e Mario Bava. La polizia è praticamente assente, le vie d’indagine più logiche vengono accantonate per seguire percorsi tipici del sogno (anziché consultare il catasto per scoprire il nome dell’assassina, ex abitante della villa, si cercano indizi sui disegni dei bambini in una scuola elementare...), gli esterni diurni sono quasi inesistenti, la maggior parte del film si svolge o nel silenzio della notte o in interni, le modalità di assassinio sono rituali macabri senza senso, spettacoli nello spettacolo, finalizzati a impaurire vittime e spettatori. L’evento scatenante la follia omicida, ovvero l’assassinio del marito ad opera della madre pazza, cui assiste il piccolo Carlo, riprende in parte l’analoga scena “nascosta” che si cela all’origine dei traumi della ladra protagonista di Marnie (Hitchcock, 1964; vedi).
Profondo rosso è un magistrale e crudele melodramma barocco, una sorta di nera e compiaciuta rock-opera che ipnotizza il pubblico italiano e mondiale, sancendo in modo definitivo la fama di Argento quale nuovo maestro del cinema del terrore.
Nella trilogia degli animali la spinta segreta era costituita da una tremenda misoginia, ispirata al nuovo modello di donna emancipata verso la quale si appuntava la crudelta fantastica del’autore. Questo elemento, assente nella trama criminale di Profondo rosso, si perpetua però nella vicenda secondaria del film: il tormentato e ironico rapporto semiamoroso tra Marc e la reporter Gianna (Daria Nicolodi). Ques’ultima, mascolina nei tratti, nei vestiti, nei gesti e nel tipo di attività lavorativa (Argento inscena perfino una simbolica sfida a braccio di ferro tra i due, dalla quale la donna esce vincente), sostanzialmente perseguita il povero musicista: la coppia finisce per riprodurre, a livello di commedia umoristica, lo scontro segreto e sanguinario che animava Quattro mosche: se il regista non ammazza più belle donne emancipate, continua però a comunicare il proprio disagio nella figura rassegnata e passiva del musicista, costretto a subire pressanti inviti di ogni genere da parte della giornalista. Le donne si sono, insomma, trasformate in invadenti maschietti: non resta che sopportarle e sfogarsi, mettendole in caricatura.
L’assassina poi è ancora una donna traumatizzata (come ne L’uccello), e non una donna qualsiasi bensì Clara Calamai che interpreta se stessa. Si descrive come un’anziana attrice di successo ora dimenticata e mostra le proprie foto del periodo d’oro (gli anni quaranta) a un distratto Marc. Clara Calamai fu anche la prima attrice italiana a mostrare il proprio seno nella celebre e (per quel tempo) scandalosa sequenza de La cena delle beffe (Blasetti, 1942; vedi). La pazza omicida, che rifiuta di farsi internare e ammazza l’ingenuo marito di fronte al figliolo, è dunque un vero e proprio archetipo della trasgressione: sia nella finzione (la schizofrenica ribelle), sia nella realtà biografica (la prima a dare scandalo, facendo infuriare le gerarchie ecclesiastiche del tempo). Questa sorta di demone oscuro è l’anima segreta del film, seducente nella sua realtà domestica, sadica quando si reca a far visita ai suoi nemici. Il suo volto dai tratti marcati e inquieti - una maschera realmente suggetsiva - si amalgama perfettamente con gli spettri deformi che animano i dipinti appesi in grande quantità nella casa della medium, fino a risultare invisibile a Mark. In maniera criptica e strisciante è ancora (dopo la trilogia degli animali) la tematica dell’emancipazione femminile l’argomento segreto intorno al quale ruota il delirio violento del racconto.
Alla madre folle e “scandalosa” faranno coerentemente seguito le madri infernali (Mater Suspirorum, Mater Tenebrarum e, quasi tre decenni dopo, Mater Lacrimarum): il più inquietante e originale narratore della svolta femminista italiana non poteva che approdare all’universo delle streghe.