Rope

Rope: una perfetta sintonia (1929-48)

              “Now listen, Rupert, listen. I have done this thing, I and Granno.
              We have done it together. We have done it for – for adventure.
              For adventure and danger. For danger. You read Nietzsche,
              don’t you, Rupert?"
              P. Hamilton, Rope, Act III (1929)

Nel 1929, a soli venticinque anni, il commediografo inglese Patrick Hamilton (1904-62) mette in scena a Londra Rope, il suo primo successo letterario. Il breve testo - ambientato in un appartamento londinese e organizzato lungo tre atti senza soluzione di continuità temporale – mette in scena il tema dostoeskiano del delitto inutile e perfetto ad opera di una coppia di personaggi che si sentono superiori alla media dell’umanità. Al celebre gesto di Raskolnikov si lega poi la filosofia superomistica di Nietzsche (anche se – nel pensiero del filosofo tedesco - la superiorità dell’ “übermensch” si risolveva in un ambito simbolico–cognitivo) e infine la particolarità che il delitto viene commesso non da un singolo ma da una coppia omosessuale (la questione è solo accennata,ma appare abbastanza chiaro che Brandon e Granillo rappresentano rispettivamente il polo maschile e femminile di una coppia gay). Dunque l’insolita commedia di Hamilton mette molta carne al fuoco ed, inoltre, non si occupa realmente dell’omicidio (esso avviene nei primi minuti) bensì del party che avviene subito dopo intorno alla cassapanca-cassa da morto al quale partecipa perfino il padre della vittima.
Brandon (la vera anima malvagia) e Granillo (il partner evidentemente plagiato e impaurito), dopo aver strangolato con una corda (rope) l’amico Ronald lo mettono in una cassapanca sopra la quale dispongono i rinfreschi per la festicciola che segue. Quest’ultima è una vera e propria sfida al senso comune, crudele (soprattutto per la presenza del mite e patetico padre della vittima) e superba, durante la quale però i due assassini devono anche confrontarsi con Rupert, il loro professore di un tempo,  il quale ha instillato loro la filosofia nietzschana e l’idea perversa dell’eliminazione gratuita del prossimo (o meglio di quegli individui che appaiono inferiori). Quest’ultimo si trasformerà gradualmente in una sorta di Porfirij (il commissario che dà la caccia a Raskolnikov) o, se si preferisce, in Poirot.
In un abile crescendo Hamilton descrive la progressiva perdita di controllo da parte di Granillo, l’anello debole della coppia, subito notata da Rupert mentre i discorsi convergono più volte intorno alla tematica del delitto gratuito e della cassapanca come luogo possibile per nascondere i resti di un morto, tutto ciò mentre cresce l‘apprensione del padre di Ronald per la sua presunta sparizione (non è arrivato a casa, sebbene fosse atteso dalla madre). Solo Rupert  riesce a mettere insieme i pezzi del puzzle, intuendo che la coppia di ex allievi sta mettendo in scena un macabro rituale.
La certezza gli viene dal ritrovamente – nella tasca di Granillo - del biglietto del Coliseum dove Ronald (si sa) ha passato parte del pomeriggio. Rupert riesce a sottrarlo a Granillo (che lo custodiva in modo negligente) e nell’epilogo (terzo atto) se lo appunta sulla giacca facendo precipitare la coppia nel panico. Il prevedibile scioglimento, con annessa autocritica del professore, segue di lì a poco.
Questa autocritica – per certi aspetti amara e disperata – sfocia nei tre colpi di pistola sparati nel cielo (un avviso per la polizia in attesa) i quali danno voce all’agoscia interiore di Rupert il quale misura, nell’arco di poche ore, la pochezza e l’insulsaggine del proprio insegnamento. In fondo il testo esamina soprattutto la fratura esistente tra le idee e la realtà, tra le parole e le cose illuminando il carattere velleitario di tante ideologie, nate dalla stravaganza di alcuni “originali” pensatori e coltivate nel chiuso delle aule universitarie e degli studi editoriali, le quali finiscono col fare vittime proprio tra i creduloni che le adottano a proprio modello di vita. Rupell è stato un “cattivo maestro” e Brandon è il suo degno allievo il quale vive, infatti, in una casa piena di libri (Mr. Kentley è venuto ad esaminare appunto alcune first edition da aggiungere alla propria collezione) e parla, spesso, come un libro stampato. Al contrario la replica di Rupert e la sua netta autocritica sfociano in un vero e proprio inno alla umile e banale materialità della vita allorché egli rinfaccia a Brandon che Ronald era in grado di ridere e correre secondo una naturalezza sconosciuta al supponente”allievo” (“Laughed as you could never laugh and ran as you could never ran”) e possedeva una semplicità che è stata brutalmente cancellata per un capriccio intellettuale.
In fondo è questo il tema centrale della commedia: la terrificante influenza che le ideologie (e i libri che le trasmettono) possono avere su menti deboli e suggestionabili, abituate a vivere in un universo autoreferenziale. In fondo non solo Granillo ma anche Brandon è un debole, privo di un pensiero autonomo e soggiogato da idee astratte, fondamentalmente estranee alla sua reale esistenza. In tal senso anche l’unità di tempo e di azione – all’interno di un claustrofobico appartamentino londinese – conferma la dimensione angusta in cui si muovono i due ex allievi, trasformatisi “per scherzo” o per noia in perfidi assassini.
Questa tematica del potere dei cattivi maestri possiede una perdurante attualità se si pensa a cosa hanno significato le ideologie negli anni trenta (il nazismo in primis) e negli anni sessanta e settanta (l’euforia comunista sfociata nel brigatismo armato, più o meno teleguidato dai servizi segreti).

Il notevole successo riportato da Rope è confermato anche dal fatto che Agatha Christie prende certamente spunto da quel testo per The Mystery of the Baghdad Chest (edito nel gennaio 1932 su un periodico inglese); in seguito il racconto viene ampliato e si trasforma in The Mystery of the Spanish Chest (nella raccolta The Adventure of a Christmas Pudding, 1960; trad.it. Il mistero della cassapanca spanola, nella raccolta In tre contro il delitto; 1981), un brillante racconto con Poirot. Vi si racconta di Mr. Claydon, assassinato intorno alle 20 in un’elegante abitazione londinese e riposto (così sembra fino alla fine del testo; la soluzione cambierà alcuni dettagli) in una cassapanca spagnola poco prima dell’inizio di una festicciola con cena fredda che si svolge nel medesimo ambiente. Il corpo esanime della vittima rimane in quel sito fino alla mattina seguente, quando viene scoperto dall’immancabile maggiordomo.
Se Hamilton fa riferimento a Dostoevskij e Nietzsche, la giallista inglese – che non vuoel essere da meno - scomoda Shakespeare e il suo Otello.

L’insolita e suggestiva commedia di Hamilton diviene un ottimo film (agosto 1948; 80 min; t. it. Nodo alla gola; nella riedizione del 1984 il titolo cambia in Cocktail per un cadavere) di Alfred Hitchcock, di gran lunga il suo lavoro migliore degli anni quaranta. Innanzitutto il regista accetta la sfida che il testo gli pone – ovvero unità di tempo e luogo e coincidenza di tempo del racconto e tempo reale – per filmare in modo quasi sperimentale la commedia attraverso l’uso di un pianosequenza unico (in realtà dieci pianosequenza: le giunte vengono nascoste, per quanto è possibile, con immagini nere) il quale garantisce appunto la simultaneità di tempo filmico e tempo reale. Questo aspetto, apparentemente artificioso, viene risolto con grande eleganza e maestria al punto che lo spettatore sprovveduto – assorbito dalle vicende – può perfino non accorgersi del virtuosismo tecnico che governa il racconto per immagini.
La vicenda viene trasportata nella New York del secondo dopoguerra cosicché alla tematica relativamente astratta del dibattito messo in scena da Hamilton si aggiunge la sensibilità particolare sul tema, generata dal recente lungo conflitto mondiale nel quale quelle tematiche di superiorità e inferiorità degli individui e dei popoli hanno tragicamente tenuto banco (tedeschi ed ebrei; tedeschi e slavi ma anche, non molti anni prima, italiani e libici, italiani ed etiopi… l’elenco sarebbe lungo) cosicché questo argomento dapprima entra con più fervore, rispetto al testo letterario, nei dibattiti fra Brandon (John Dall) e Mr. Kentley (Cedric Hardwicke), poi dà luogo ad uno spettacolare “mea culpa” di Rupert (James Stewart) nella scena madre conclusiva.
Hitchcock, dunque, condivide completamente la denuncia dell’inglese Hamilton intorno alla pericolosità dei cattivi maestri e delle loro idee balzane e astratte, spesso strumentalizzate da imponenti e spregiudicati apparati politici per finalità tutt’altro che lineari ed oneste. Sebbene in apertura egli sembri guardare con interesse ai suoi personaggi malvagi, donando loro una qualche capacità seduttiva (non diversamente da quanto gli accadeva con lo zio Charlie di Shadow of a Doubt e con il nazista Willie di Lifeboat), molto presto egli decostruisce i due criminali e ce li mostra nella loro disarmante pochezza nelle battute finali allorché essi, smascherati, si trovano a dover giustificare il proprio agire di fronte ad altri. Usciti allo scoperto, abbandonato il semplicismo del loro universo autoreferenziale e libresco, essi devono affrontare il “mondo reale” e, in quel nuovo contesto, essi si rivelano semplicemente due balordi.
Il regista inglese, coadiuvato dallo sceneggiatore Arthur Laurents, arricchisce il testo con numerose, brillanti modifiche ed aggiunte. Essi sostituiscono al servo (figura del tutto marginale) di Brandon e Philip, la brillante cameriera Mrs. Wilson (Edith Evanson): è soprattutto attraverso i discorsi pettegoli e risentiti di quest’ultima che Rupert mette a fuoco il carattere insolito della festa e si convince che l’assente Ronald giace morto nel cassone. Tutta la questione (centralissima nella commedia inglese) del biglietto del Coliseum viene eliminata e, a suo modo, reinserita come tocco finale allorché a Rupert la distratta cameriera consegna un berretto sbagliato che si rivela essere (dalle iniziali poste all’interno) quello della vittima. Ma, a quel punto, si tratta solo della ciliegina sulla torta. Rupert ha compreso il senso della festa di morte messo in scena dalla coppia assassina.
Sul versante gay Hitchcock tratta l’argomento con grande discrezione: Brandon e Philip (Farley Granger) formano chiaramente una coppia, vivono insieme e condividono ogni evento; tuttavia il regista intorbida un po’ le acque (l’argomento era all’epoca tabù) qualificando Brandon come un ex fidanzato di Janet (Joan Chandler), l’invitata femminile che, nella versione di Hollywood, è diventata anche la fidanzata della vittima.
Tra le altre aggiunte c’è quella del personaggio della zia di Ronald la quale, poco più di una scialba comparsa nella commedia, si trasforma nella brillante Mrs.Atwater (Constance Collier): non che la donna capisca ildramma in corso; tuttavia il suo dialogo, sempre pungente e spiritoso, aggiunge una notevole verve all’insieme e culmina nello strepitoso scambio di battute con Philip durante il quale, leggendogli il futuro nelle linee delle mani, gli dice che proprie la quelle mani lo renderanno celebre. Granillo, spagnolo naturalizzato remissivo e un po’ goffo, nella versione americana si è trasformato in Philip, pianista in carriera, abituato a esibirsi in grandi sale concertistiche. La battuta sulle sue mani dunque suona come  l’ennesimo e, probabilemnte, il più efficace doppio senso di cui è popolato l’intero testo.
Il susseguirsi dei doppi sensi (in entrambi i testi, letterario e filmico) possiede da un lato un proprio macabro umorismo; dall’altro funziona come elemento chiave nella creazione del suspense intorno al gesto scellerato della coppia assassina e alla macabra cerimonia posta in essere a coronamento di quell’atto criminale. Fino a dove possono spingersi i due senza suscitare i sospetti degli invitati (di Rupert soprattutto)?
Il film di Hitchcock è dunque una perfetta macchina teatrale dove tutti gli stati d’animo trovano una propria collocazione: la sfrontata alterigia di Brandon, la cupa angoscia di Philip, il patetismo commovente di Mr. Kentley (perfetta esempio di ordinary people), la civetteria di Janet (nel film il secondo giovane invitato al cocktail diviene un altro ex fidanzato della ragazza, con gli evidenti problemi del caso), la pignoleria brontolona della cameriera e, infine, il percorso riflessivo e indagatorio di Rupert, vero centro della commedia, in bilico tra incredulità e orrore.
Tutta hitchockiano è poi l’episodio di maggior suspense del film (inesistente nel testo di Hamilton), quello in cui – tra l’apparente indifferenza generale - la cameriera lentamente riporta i resti del party in cucina, sgombra la cassapanca  e si accinge ad aprirla per ripovi dei libri. Solo in extremis Brandon se ne accorge e la blocca, suscitando la certezza in Rupert riguardo al terribile contenuto del cassone. La tensione viene generato – come sempre - dalle maggiori informazioni che possiede lo spettatore rispetto ai personaggi del racconto.
Se gli apporti dei singoli collaboratori sono quasi tutti di altissimo livello (attori perfetti; lavoro di sceneggiatura ricco di pertinenti innovazioni), l’unico aspetto deludente è quello musicale (tratto abbastanza consueto nel cinema hitchcockiano precedente all’incontro con Bernard Herrmann): la colonna sonora è ordinaria e la cosa appare desolante proprio perché nell’appartamento c’è un pianoforte a coda e un concertista: si sarebbe dunque potuto rendere la musica protagonista di qualche momento alto della pellicola. Philip si limita a ripetere sempre uno stesso motivo melodico alla tastiera, il tema d’apetura del primo dei 3 Moviments perpetuéls (1918) di Francis Poulenc, non particolarmente interessante, il cui principale elemento di continuità con il film sembra essere l’allusione al movimento perpetuo delle mdp. Certamente il tono dissonante, inquieto e falsamente rilassante della melodia discendente raddoppia e rivela lo stato d’animo di Philip (in fondo la colonna sonora fa spesso questo: indaga  e rivela gli stati d’animo dei personaggi, completando il lavoro dell’attore e del regista) e, in tal senso, offre un elemento di arricchimento espressivo. In ogni caso con quel pianoforte si poteva fare di più.
Dopo tanti romanzi traditi e semplificati (vedi Suspicion e The Paradine Case), Hitchcock questa volta si attiene perfettamente al testo inglese ed, anzi, lo aggiorna e lo migliora, rendendolo perfetto per il pubblico cinematografico degli anni quaranta.