Spellbound e Notorious: teatro da camera con deroghe (1945-46)
Nel dopoguerra gli Usa hanno molte merci da esportare nei “nuovi territori”, merci materiali e culturali. Tra queste ultime, accanto alla musica jazz e, ovviamente, al
cinema hollywoodiano, si trova, in posizione defilata, anche la psicanalisi. Questa insolita materia, situata all’incrocio tra filosofia, psicologia e scienza, è del tutto negletta nel vecchio continente: se ne parla poco e la
si pratica ancora meno, tanto più che il fondatore, Freud, e numerosi suoi seguaci più o meno ortodossi, Jung in primis, sono intellettuali di religione ebraica e, dunque, hanno subìto un feroce ostracismo sia nel blocco
tedesco, sia nell’Italia posteriore alle leggi razziali del 1938. La cinematografia americana si incarica dunque di pubblicizzare la nuova “scienza” con Spellbound (Io ti salverò; ottobre 1945; in Italia esce nel giugno 1947; 100 min.), film di alto livello, con star importanti, un regista
popolare e una trama poliziesca. Insomma ci sono tutte le componenti per creare un grande successo di pubblico (operazione perfettamente riuscita) il quale segna anche l’inizio del filone psicoanalitico a Hollywood, genere che
avrà – nei decenni a venire - un numero enorme di adesioni. Non mancherà un impegnativo film biografico sul fondatore della psicoanalisi ovvero Freud (1962) di John Huston. Purtroppo però questo gigantesco spot
pubblicitario in favore della relativamente nuova corrente psicologica si trasforma in un logorroico film di interni, alquanto deludente per gli appassionati del cinema hitchcockiano. Non che manchino i segni distintivi della
sua cinematografia, tanto è vero che il racconto sembra una variante dei primi tre film hollywoodiani dell’autore (quelli non legati alla propaganda bellica): come per Rebecca, Lina (Suspicion) e Charlie (Shadow of a Doubt),
siamo di nuovo di fronte a una donna alle prese con un uomo misterioso che soffre di amnesia, che forse è una assassino e che è ricercato dalla polizia. Constance (Ingrid Bergman), una giovane e valente psicoanalista, si innamora immediatamente del suo futuro paziente John (Gregory Peck; Spellbound significa appunto “incantata”) e fugge con lui cercando, attraverso una lunga indagine psicoanalitica, di far riemergere dalla memoria dell’uomo i traumi del passato nonché il vero colpevole dell’omicidio. Durante la fuga si reca anche nella casa del suo maestro, il prof. Brulov (Michael Chekhov): a quel punto gli psicoanalisti in azione sono addirittura due e il torrente di parole diviene inarrestabile.
Hitchcock averva in mano un buon soggetto (liberamente ispirato al romanzo di Francis Beeding The House of Mr. Edwards, 1927; inedito in Italia) ma lo affoga in un mare di chiacchiere e in un cinema tutto di interni
(dunque fortemente teatrale). Lo spettatore ha forte nostalgia delle magnifiche e realistiche ambientazioni all’aria aperta del recente Shadow of a Doubt (vedi) e si trova a visionare un racconto privo di squarci
realistici (dunque privo di una dimensione concreta) o peggio dotato di pessimi esterni come la goffa sequenza sugli sci girata con i soliti finti fondali. Al posto degli esterni reali abbiamo invece la grande sequenza del
sogno con scenari disegnati da Salvator Dalì: si tratta di un pregevole brano di cinema (Dalì non solo cita la propria pittura ma anche il celebre incipit de Le chien andalou, 1928, con il provocatorio taglio
dell’occhio) che introduce l’ultima parte del film nella quale, finalmente, la regia di Hitchcock si sveglia e produce una serie di sequenze di buon valore. Penso soprattutto all’episodio finale nella clinica quando, a
sorpresa, si scopre il vero assassino il quale si è tradito in una conversazione con la dottoressa. Constance lo affronta in un dialogo ad alta tensione che sfocia in una mirabile episodio basato sull’inquadratura di una
pistola che, dapprima tiene sotto mira la protagonista e poi si volge versocolui che la impugna (ma anche verso lo spettatore) e spara, producendo un’inattesa fiammata rossa (unico dettaglio a colori in un film in bianco e
nero, dettaglio il cui carattere fantastico e illogico conferma la dimensione onirica complessiva del lavoro). Va infine ricordata un’altra sequenza da antologia: quella in cui l’”ammaliata” Constance viene baciata dal finto
Edwards mentre, sullo sfondo, appaiono una serie di sette porte che si aprono, una dietro l’altra (aperta allusione sessuale degna di fare il paio con il noto finale “ferroviario” di North by Northwest; vedi); il tutto avvolto nel Leitmotiv sinfonico della passione travolgente che segna (in modo, peraltro, assai scontato) la coppia dei protagonisti. Avendo a che fare con una materia onirica, Hitchcock si è sentito autorizzato a inserire piccole gemme come questa, momenti in cui la libertà del sogno – certamente una delle fonti originarie dell’arte cinematografica - si nserisce nel racconto filmico con grande naturalezza.
Riguardo al commento sonoro invece va detto che la musica di Miklos Ròsza, organizzata secondo rigidi Leitmotive che si ripetono in modo prevedibile, aggiunge poco al film sia perché i due temi principali (quello sinuoso
dell’innamoramento e quello cupo dei traumi del finto Edwards) non sono abbastanza originali (si pensi ai due motici analoghi – di ben altra qualità – creati da Herrmann per Vertigo, 1958; vedi), sia perché essi vengono
usati troppo meccanicamente all’intenro di un soundtrack debordante (secondo l’uso dell’epoca). Riassumento: l’intento propagandistico – il lancio europeo e asiatico della psicoanalisi – affonda la pellicola, rendendola
statica e verbosa. L’indagine sui sogni e i ricordi del finto Edwards appare invadente e troppo a lungo bloccata in un vuoto di eventi nonché isolata rispetto a un contesto realistico che viene emarginato dal racconto (cosa sta
facendo la polizia? perché Constance è ricercata? chi era il vero dott. Edwards? ecc.). Certo essa risulta alla fine risolutrice (né poteva essere diversamente in un film che vuole, a tutti i costi, incentivare la pratica
psicoanalitica), ma questo accade grazie alla decifrazione di quel sogno firmato Dalì tanto splendido nella realizzazione visiva quanto improbabile. Non stiamo poi a esaminare il carattere artificioso di una serie di sequenze
come quella della corsa sulla neve verso il baratro o come quella che dovrebbe spiegare la fobia per le linee del protagonista. Va anche detto che, in fondo, il pubblico viene assimilato al protagonista il quale appare
sospettoso e incredulo delle capacità della nuova scienza (atteggiamento anch’esso totalmente contradditorio in quanto lo stesso Ballantine è finito in questo intreccio proprio perché paziente del dottor. Edwards), si sottopone
di malavoglia alle infinite domande dei due analisti e solo al termine si rende conto che la psicoanalisi gli ha salvato la vita. La polizia viene, come si è detto, opportunamente lasciata fuori gioco così da poter esaltare in
modo ancor più convincente i supposti pregi della “neoscienza” in un caso che poteva essere agevolmente risolto da alcune banali indagini (chi aveva visto di recente Edwards? che tipo di proiettile l’aveva ucciso? ecc.) Al
di là di questi pesanti limiti, va comuque rilevata la sottile capacità hitchcockiana di mettere in scena la paura e il sospetto: la coppia in fuga incrocia spesso poliziotti e più volte è a un passo dal venire scoperta.
E’soprattutto questo aspetto kafkiano del racconto – la trasformazione della rassicurante dimensione quotidiana in un incubo senza fine -
a tener desta l’attenzione dello spettatore, qui come in tante altre pellicole del maestro inglese.
Il successivo, celebratissimo Notorious
(agosto 1946; in Italia dicembre 1948; 100 min.) costituisce una sorta di dittico col film precedente sia a causa della presenza di Ingrid Bergman, sia per il taglio teatrale e “domestico” della narrazione, sia infine per l’enorme successo che il lavoro riscuote. Nella famosa intervista di Hitchcock a Truffaut, il regista francese prende le distanze in modo perfino radicale da Spellbound mentre appare entusiasta di Notorious (sebbene non spieghi realmente per quale motivo, limitandosi a elogi su una presunta “perfetta semplicità”... ); al contrario ci sembra che i due film si assomiglino parecchio nei pregi come nei difetti.
Notorious racconta – come è noto – le vicende di Alicia (Ingrid Bergman), figlia di una spia nazista negli Usa la quale, istigata dall’agente segreto Devlin (un monocorde Cary Grant), si convince a lavorare per i servizi segreti americani in Brasile. Pertanto riesce a introdursi (a patto però di sposarlo) nella sontuosa casa di Alexander Sebastian (Claud Rains), un nazista che ospita una cerchia di pericolosi profughi. In essa si sta progettando nientemeno che la costruzione di un qualche ordigno atomico e la giovane riesce a fornire le prove agli americani. Scoperta dal marito, tuttavia, viene avvelenta gradualmente fino a che Devlin - nella scena madre conclusiva – riesce a introdursi nell’abitazione nemica e a portare in salvo, con un tortuoso stratagemma, l’amante di un tempo.
Se Spellbound era una sorta di quarto episodio (dopo Rebecca, Suspicion e Shadow of a Doubt) sui temi della paura e del sospetto, Notorious è la quarta pellicola che si occupa del nazismo (anche se a guerra finita). Quest’ultima, tuttavia, accantona l’andamento movimentato e spesso avvincente della trilogia precedente (Foreign Correspondent, Saboteur e Lifeboat)
per abbracciare invece lo stile appassionato, romantico e teatrale del recente film “psicoanalitico”. Come si nota agevolmente, la trama spionistica è goffa e quasi inesistente (Hitchcock addirittura se ne vanta con la sua
strana teoria del MacGuffin) al punto che non ci viene spiegato alcunché: in che anno siamo? che ruolo avevano questi ex nazisti in Germania? che tipo di attività terroristica progettano? Altrettanto generici sono il quartier
generale americano a Rio de Janeiro dove la pellicola si pretende ambientata (in realtà vediamo solo un paio di immagini cartolinesche della città basiliana; il film, girato in larga parte negli Usa, potrebbe essere situato
ovunque) e i suoi quadri dirigenti e operativi. Esclusa dunque la trama spionistico–politica (con grave danno della credibilità complessiva di luoghi, caratteri ed eventi), gli autori (Hitchcock e il suo sceneggiatore Ben
Hecht, già creatore di Spellbound) si concentrano sull’ordinario triangolo passionale: una spia americana si innamora di una bella ragazza tedesca mentre la sta convincendo a divenire un’informatrice. Dovrà poi assistere
al suo divenire addirittura la moglie di un nazista per il bene della patria. Un Cary Grant oltremodo legnoso e perennemente imbronciato (da cui la mancanza di ogni traccia umoristica nel film) segue le perigliose e improbabili
vicende dell’amata, la getta nelle bracce del nemico e anziché difenderla con convinzione (visto che rischia la vita) gioca a fare l’innamorato deluso. Lei, invece, attende invano un gesto di comprensione dall’uomo che adora...
Insomma un vero disastro (si aggiunga il carattere insulso della colonna sonora) in cui si intuisce, ancora una volta, il target prevalentemente femminile di queste pellicole hollywoodiane degli anni quaranta. Abolita la
dimensione politica – abolito cioè il mondo reale – non resta che un universo squisitamente domestico e teatrale, anch’esso (come quello di Spellbound) vagamente onirico, tanto caro ai melodrammi passionali del cinema di Los
Angeles. Infatti la vera protagonsta di Notorious è la sontuosa dimora di Sebastian. In essa Alicia deve dapprima riuscire a introdursi; di essa diviene poi la padrona, suscitando le prevedibili e scontate ire della suocera; in essa avviene la scena decisiva della scoperta dell’uranio durante il party, scena che decreta la condanna a morte della donna e infine sempre nella casa – questa volta vissuta da Alicia in qualità di prigioniera, a un passo dalla morte – si svolge tutta l’ultima drammatica parte della vicenda. Dalla abitazione non ci si allontana neppure per mostrare la “condanna a morte” decretata all’interno della setta nazista ai danni di un membro “sbadato” (viene solo raccontato). Tutti gli episodi migliori del film – sostanzialmente la grande sequenza della festa e quella conclusiva del salvataggio in extremis – vi prendono luogo e costituiscono, da soli, un buon motivo per visionare il film.
L’abilità hitchcockiana nel creare tensione attraverso piccoli dettagli (una chiave sottratta da un portachiavi; le bottiglie di spumante che vanno esaurendosi rendendo probabile il necessario utilizzo della medesima e la
conseguente scoperta del tradimento di Alicia...) rimane notevolissima e seduce lo spettatore nel primo caso. Nel secondo – allorché Devlin si introduce di nascosto nella stanza di Alicia morente – il dramma della protagonista
si fonde con il coraggio dell’americano che gioca il tutto per tutto per portare in salvo l’amata attraverso una lenta discesa delle scale al cospetto dell’intera setta nazista, come immobilizzata dalla sorpresa e indecisa sul
da farsi. La difficoltà nel penetrare in quella casa e la difficoltà di uscirne viva – la solenne scalinata appare, in tal senso, il simbolo visivo di questo periglioso cammino - stabiliscono il centro narrativo ed emotivo di Notorious.
Usciti dalla dimora, il film termina in modo incredibilmente subitaneo, perfino frettoloso. Nessuna spiegazione definitiva viene data sul destino dei nostri personaggi. Come in Spellbound la polizia e il mondo esterno reale venivano emarginati a favore della psicoanalisi, così in Notorious l’universo reale (operativo) delle spie viene posto in una posizione marginale. Al contrario il dramma passionale dei protagonisti diviene l’argomento centrale e, in quest’ultimo caso, più precisamente la capacità di Alicia nel riuscire a penetrare in una situazione domestica aliena e nel riuscire a dominarla a qualunque costo (il matrimonio opportunistico, lo scontro con la suocera, la delusione di Devlin) appare il tema centrale, un tema, come si vede, tutto al femminile. I caratteri maschili sono, in fondo, di semplice contorno: Cary Grant e Claude Rains si spartiscono il ruolo di amanti di Alicia in modo quasi paritetico (si controlli al riguardo il minutaggio delle loro presenze sullo schermo).
La psicoanalisi in Spellbound e le complicate schermaglie amorose in Notorious trasformano due presunti film d’azione in un fluido e un po’ monotono teatro da camera, solo a tratti impreziosito dagli
impareggiabili virtuosismi del regista inglese.
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