The Thirty-Nine Steps: complotti travisati (1915-78)
“I am giving you what he told me as well as I could make it out. Away behind all the governments and the armies there
was a big subterranean movement going on, engineered by very dangerous people... I gathered that most of the people in it were the sort of educated anarchists that make revolutions, but
that beside them there were financiers who were playing for money” J. Buchan, The 39 Steps (1915) - Scudder parla a Hannay
Il barone John Buchan, scrittore scozzese, pubblica nel 1915 The Thirty-Nine Steps (tit. it. I trentanove scalini, 1955), un romanzo spionistico che viene pubblicato a puntate su un periodico inglese. Vi si raccontano le peripezie di Richard Hannay, avventuriero scozzese che ha passato un lungo periodo in Africa, il quale si imbatte in Franklin Scudder, una spia la quale è al corrente di sconcertanti misteri dai quali dipende lo scoppio di una guerra mondiale (la vicenda è ambietntata qualche anno prima del fatidico 1914). L’uomo, inseguito da un numero impressionante di sicari, viene ammazzato in casa di Hannay il quale diviene, da questo momento, un bersaglio per la potente rete spionistica, già descritta da Scudder. Quest’ultimo ha delineato un quadro fosco nel quale si muovono da padroni ricchi ebrei e spie tedesche, uniti nel volere lo scoppio di una guerra mondiale. Per motivi differenti si intuisce (Scudder accenna solamente) che Ebrei e Tedeschi perseguono bersagli compatibili: gli uni vogliono sovvertire l’ordine nella Russia zarista (che, secondo Scudder, “odiano come l’inferno”; il disegno - va detto - troverà corrispondenza negli sviluppi inattesi del conflitto); gli altri vogliono aggredire Francia e Gran Bretagna. Si percepisce nelle parole di Scudder, in questo incipit del testo, un’eco dei Portocolli dei Savi di Sion (scritti nel 1903 e considerati un falso dei servizi segreti zaristi), assai discussi in quegli anni (soprattutto nel primo dopoguerra) e un preciso tentativo di attribuire all’opera congiunta di Ebrei e Tedeschi l’incidente di Sarajevo, necessario per avviare la macchina infernale del conflitto.
Morto Scudder, il romanzo perde progressivamente interesse: Buchan ritrae una serie di episodi autonomi, abbastanza prevedibili, nei quali si percepisce il limite di una struttura narrativa frammentata, concepita per una
pubblicazione “a puntate”. Tra essi appare rilevante il fatto che Hannay finisca col tenere una prolusione in una loggia massonica ovvero in un luogo evidentemente affine a quello in cui maturano gli oscuri complotti della rete
spionistica nemica. Il finale si risolleva parzialmente, allorchè Hannay, scampato ai numerosi tentativi posti in atto dalle spie tedesche di eliminarlo, dopo avere assistito ad una incredibile sostituzione di persona (una
delle spie impersona un ministro durante un’importante e decisiva riunione di gabinetto a Londra) riesce a catturare i nemici della Gran Bretagna in una villa situata “39 scalini” sopra il mare, in una località secondaria della
costa inglese. La lunga ricerca del luogo preciso (indicato in modo enigmatica negli appunti cifrati del defunto Scudder) e il clima misterioso e ambiguo che circonda la villa (apparentemente abitata da insospettabili inglesi)
rende questa conclusione degna di nota. Nel corso del racconto, tuttavia, la cappa apocalittica dell’esordio si è dileguata e il testo si è trasformato in un normale caccia alle spie. Certo la figura del falso colpevole in
fuga (Hannay viene inizialmente creduto l’assassino di Scudder) è ben delineata, crea una discreta, costante tensione (il protagonista deve sfuggire sia alla polizia inglese, sia a ben più temibili sicari tedeschi) e certamente
colpì la fantasia di Hitchcock.
Nella sua omonima versione filmica (giu. 1935, 80 min; tit. it. Il club dei 39), il regista inglese mette in scena il romanzo in modo poco fedele, si concentra
sul tema angoscioso del falso colpevole in fuga (argomento perfettamente sviluppato) e tralascia totalmente le implicazioni politiche che erano presenti soprattutto nel primo capitolo del romanzo e che motivavano lo zelante
impegno di Hannay (Robert Donat) nel tentare di concludere la missione interrotta da Scudder. Quest’ultima figura, tanto rilevante in Buchan, viene trasformata in una bella spia, Annabella Smith (Lucie Mannheim), il cui ruolo è
assai ridotto rispetto all’originale (manca soprattutto il misterioso libretto di appunti di difficile decifrazione che risultava fondamentale nel testo scritto). Inoltre Hitchcock cambia radicalmente il magnifico finale di
Buchan - quello che motivava il titolo - sostituendolo con un episodio raffazzonato e chiassoso, ambientato n un teatro. La pellicola inizia e termina durante uno spettacolo semiclownesco (ennesima riprova della vicinanza che
ancora caratterizza cinema, teatro e circo in questa fare storica: si pensi a quanto è ricorrente, anche nel cinema di Hitchcock, la presenza d tendoni da circo, spettacoli teatrali e intrattenimenti musicali) in cui Mister
Memory (Wylie Watson), un uomo dotato di eccezionale memoria, risponde alle domande del pubblico; quando Richard Hannay gli chiede cosa siano “i 39 scalini”, l’uomo (che è complice delle spie tedesche) spiega (chissà perchè)
che si tratta di un’organizzazione spionistica nemica e viene immediatamente (e immotivatamente) ucciso dal capo della stessa; questo gesto illogico fa precipitare la situazione verso una risoluzione rapida e deludente.
L’intero finale è insomma inverosimile e ridicolo; serve tuttavia al regista inglese che vuole, a tutti i costi, una conclusione spettacolare, ambientata nei luoghi che conosce meglio ovvero quelli dello spettacolo teatrale. Le
sottili atmosfere dello scioglimento di Buchan sono perdute. Non è certo la prima volta che Hitchcock rovina un testo letterario (si vedano, in tal senso le analoghe osservazioni relative a Il sospetto, Il caso Paradine e Vertigo)
per ricondurlo a un contesto semplificato e di più sicuro effetto presso quel pubblico ingenuo che riempiva le popolari sale cinematografiche dell’epoca. Anche le altre
modifiche del testo si muovono in questa direzione: la seconda parte è occupata da un episodio (assente nel romanzo) in cui, dopo avere tenuto un discorso a un comizio elettorale (non a caso la loggia massonica di Buchan si è trasformata in un inoffensivo luogo della democrazia), Hannay è costretto a fuggire ammanettato con Pamela (Madeleine Carroll), una giovane bionda che lo crede colpevole; ovviamente finiscono nella camera matrimoniale di una locanda, con tutte le prevebibili problematiche del caso. L’episodio è abbastanza piacevole e inserisce un momento più leggero, quasi da commedia, nel cupo racconto di Buchan, sempre nel tentativo di spezzarne l’angusta cappa che lo caratterizza.
D’altronde in questa fase Hitchcock dimostra di non essere ancora un buon regista di esterni. Le lunghe peregrinazioni in Scozia avvengono in scenari di cartapesta, quasi certamente ricreati in studio, tipici del cinema
muto, la qual cosa rende meno incisivi i suddetti episodi. Il regista inglese aveva una lunga consuetudine con i palcoscenici (si pensi a tutte le trascrizioni filmiche effettuate nel periodo 1926-34) e tendeva a realizzare in
contesti di sapore teatrale anche sequenze che avrebbero avuto bisogno di una collocazione in contesti realistici. Nei primi anni trenta c’era già chi riusciva a girare per le strade con ottimo esito, basti pensare a Gli uomini che mascalzoni (1932) di Camerini. Anche l’utilizzo della musica è generico e non aiuta a valorizzare il racconto: siamo lontanissimi dalle atmosfere sottili che Hitchcock e Bernard Herrmann sapranno creare nel periodo 1956-64. In particolare North by Northwest (1959), film dotato di un magnifico, spumeggiante soundtrack,
costituirà un felice ripensamente di questa pionieristica spy story. Con tutti i suoi limiti Il club dei 39 - un grande successo dell’epoca, almeno in Gran Bretagna (in Italia il film passò pressochè inosservato: basti dirr che nella recensione del 1936 sul Corriere della sera, non si citava neppure il nome di Hitchcock) - definisce la svolta definitiva nella poetica del regista inglese: d’ora in poi, con rare eccezioni, il maestro si dedicherà esclusivamente al thriller, talvolta arricchito da componenti spionistiche che - come in questo caso - risultano sempre secondarie alla sostanza del racconto poichè i suoi protagonisti sono per lo più gente ordinaria, casualmente finita in situazioni straordinariamente pericolose e spesso terrificanti.
Circa vent’anni dopo Ralph Thomas firma un fedele remake della pellicola hitchcockiana sempre intitolata The 39 Steps (1959; 105 min.; tit. it. I 39 scalini), con Kenneth More e Taina Elg nei ruoli principali, in cui il testo di Buchan viene ulteriormente ammorbidito. Thomas spesso ripropone un ricalco letterale delle immagini del celebre regista inglese, in quegli anni felicemente attivo a Hollywood.
Il film è un esercizio scolastico privo di interesse per chi conosca l’originale. Notiamo che Thomas inserisce ulteriori elementi umoristici (ad es. il comizio elettorale diviene una lezione in una scuola femminile) che
tendono a eliminare completamente il clima apocalittico presente nelle pagine del romanzo. L’unico punto in cui il film di Thomas supera il modello è nell’ambientazione scozzese, maggiormente realistica e in generale in tutte
le sequenze ambientate all’aperto in cui vengono evitati i generici fondali ricostruiti in studio del film degli anni trenta.
Passano altri vent’anni e tocca ora a Don Sharp firmare una terza versione filmica del testo di Buchan. Il titolo rimane The 39 Steps (1978; 105 min; tit. it. I 39 scalini).
Il regista prescinde quasi totalmente dai precedenti due film e cerca di attingere direttamente al testo di Buchan. Siamo proprio nel 1914, alle soglie dello scoppio della prima guerra mondiale e Hannay (Robert Powell)
incontra realmente Scudder (John Mills; non una spia di sesso femminile) che gli muore tra le braccia alla stazione (anzichè di notte a casa sua). La pellicola prosegue rimnendo abbastanza fedele al testo: soprattutto il lungo
episodio scozzese rispetta il senso generale del racconto, con Hannay costantemente braccato dall’organizzazione che si manifesta sotto la forma di un aereo da ricognizione (già presente in Buchan) e di due cecchini non proprio
infallibili. Anche l’episodio della sostituzione dell’uomo politico (da parte di un affiliato alla rete spionistica) viene messo in scena mentre i trentanove scalini divengono nientemeno che quelli del Big Ben con un finale
effettistico in puro stile hitchcockiano (evidente il riferimento ai finali de I sabotatori e di Intrigo internazionale). Purtroppo neppure in questo caso il suggestivo scioglimento di Buchan - l’affannosa ricerca
della villa coi 39 scalini sulla costa est dell’Inhilterrra - viene preso sul serio e gli si preferisce una conclusione scenografica piuttosto banale. Va notato infine che i due attori principali - Robert Powell e David
Warner - offrono un’ottima prova mentre anche in questo caso la loggia massoncia si trasforma in un comizio elettorale. In generale la pellicola, pur girata con un solido mestiere, somiglia troppo ad un innocuo sceneggiato
televisivo e si perde, nella seconda parte (la lunga caccia all’uomo), in una serie di episodi goffi e inverosimili. In definitiva nessuna delle tre versioni è riuscita a cogliere il senso angoscioso del testo di Buchan che
attende, ancora oggi, una degna trascrizione filmica.
testo scritto nel set. 2016
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